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Telemedicina è una parola che, fino a qualche tempo fa, appariva quasi aliena a più di qualcuno. Il Covid l’ha resa familiare, facendola entrare nel vocabolario quotidiano, con le espressioni smart working e smart school. 

Sarebbe però sbagliato pensare che le lezioni scolastiche e universitarie, così come la medicina a distanza e il lavoro da remoto siano praticati in egual modo, in tutte le regioni italiane. Prendiamo le ricette dematerializzate del medico curante. Il Covid-19 ha aperto la strada al rilascio delle impegnative per via telematica: il paziente dialoga con il medico, che gli invia il codice NRE, quello stampato sulle impegnative, via mail, via sms o per telefono. Il farmacista eroga i medicinali, dopo aver inserito nel terminale il codice dell’impegnativa. È bastato un provvedimento per snellire code interminabili negli ambulatori e, soprattutto, ridurre i rischi di contagio per medici e pazienti. La domanda è: perché non pensarci prima? Occorreva un virus per comprendere l’importanza di una procedura tanto semplice quanto salvifica, anche prima del Covid-19, sotto gli aspetti tempo ed efficienza? 

Punto secondo: perché non tutti i medici hanno aderito all’iniziativa? Saranno pochi, ma ancora ci sono studi che inspiegabilmente non adottano questo protocollo. Senza considerare la questione dei farmaci non mutuabili: quelle impegnative (quelle su carta intestata per intenderci), non passano attraverso i sistemi informatici. 

In centinaia di città italiane ci sono ancora medici che rifiutano totalmente la possibilità offerta dalla telemedicina, per motivazioni che non sono oggetto di questa riflessione. Spesso i tentativi di un approccio digitale alla pratica medica si scontrano con l’assenza di un vero coordinamento, a livello amministrativo, tra i vari, a volte troppi, soggetti che dovrebbero consentire lo svecchiamento dei canali di incontro tra la sanità pubblica e i suoi assistiti. L’acquisto di farmaci senza passare dallo studio del medico di base sembra un miracolo, ma non lo è, era a portata di mano da anni. 

Se queste righe fossero una critica, sarebbero quanto meno inopportune e indelicate, in questo momento. Sono semplicemente il racconto di una realtà confusa: quella fuori dall’ordinario di medici, infermieri e operatori che spendono fino all’ultima goccia della loro energia, della loro umanità, per strappare vite al virus e quella di un sistema che resta burocratizzato e proto-digitale, anche nelle situazioni che richiedono velocità ed efficienza. 

Sembra che negli Stati Uniti, l’emergenza coronavirus abbia fatto crescere del 50% le sessioni di telemedicina. Il verbo “crescere” significa che quel servizio era già implementato, anche se bisogna fare attenzione quando si scrive di sanità, riferendosi a quella statunitense, dove l’accesso alle cure è negato a chi non ha un’assicurazione e molto lo fanno le “strutture” pro bono. 

Ma senza andare oltre oceano, un esempio, uno dei tanti sicuramente, di buona capacità di reazione ad una situazione d’emergenza arriva da un gruppo di lavoro coordinato da Fabrizio Massimo Ferrara, a capo del Laboratorio sistemi informativi sanitari presso l’Altems.

Ne fanno parte Americo Cicchetti (Altems); Sergio Pillon (AO San Camillo Forlanini, Cnr-Icar) e Domenico Valle (Ely Lilly Italia), con l’avvocato esperto in protezione dei dati Silvia Stefanelli. Lo scopo: assicurare assistenza ai pazienti non covid-19, che necessitano comunque di cure o di un consulto medico. La risposta sono gli strumenti informatici usati per visitare virtualmente il paziente, ove possibile. Con il centro oncologico dell’ospedale di Prato è stato stilato il Manuale per le tele-visite nell’ambulatorio virtuale. Sulla scia di questa esperienza, l’ospedale di San Severo dell’Asl di Foggia ha redatto il Manuale delle tele-visite e tele-sedute di supporto psicologico e, con il Servizio ADI del Distretto 60 della ASL di Foggia, è nato il Manuale di teleassistenza per l’Assistenza domiciliare Integrata. Per approfondire si può visitare il sito Governo dei dati sanitari. 

Sono interventi da mettere subito in atto. Lo si potrebbe fare ovunque, con gli investimenti giusti. Quante cose abbiamo fatto in emergenza? Tantissime; un gran numero di esse si sarebbe potuto fare prima e senza stress.