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In queste ore (10.30 del 27 marzo), i servizi doganali stanno controllando un carico di mascherine arrivato dalla Cina all’aeroporto di Fiumicino. Destinazione Protezione Civile. Il paese che per primo ha dovuto affrontare l’emergenza Covid-19 sta sostenendo, insieme con altri (tra i quali Cuba e la Russia), il Governo italiano, non solo con l’invio di dispositivi di protezione individuale, ma anche attraverso la consulenza di un team di medici cinesi che ha raggiunto l’Italia nei giorni scorsi. Anche Cuba ha inviato i suoi medici nelle aree maggiormente colpite dal virus.

Eppure, il numero dei dispositivi indispensabili agli operatori sanitari per poter assistere i pazienti in sicurezza resta, nonostante gli sforzi della Farnesina e dei privati, insufficiente rispetto al reale fabbisogno. 

Le mascherine sono diventate introvabili, ancora prima dell’inizio della fase emergenziale. Le farmacie erano state prese d’assalto già quando, in questo paese, gli unici casi di contagio erano rappresentati dai coniugi cinesi arrivati in vacanza in Italia e, dopo pochi giorni, ricoverati allo Spallanzani di Roma. In quella fase, gli stessi cittadini italiani, presi dal panico, avevano mal gestito i dispositivi, utilizzandoli quando ancora non era necessario farlo.

Da allora le mascherine hanno assunto la caratteristica di bene di lusso, molte le speculazioni registrate, mentre i traffici illeciti si sono moltiplicati (per qualche giorno, i venditori abusivi le avevano distribuite senza confezione persino alle fermate della metropolitana, a Roma e a Milano), e le notizie sconcertanti sull’affare mascherine continuano a riempire le pagine dei giornali. 

Poche ore fa l’ospedale Loreto Mare di Napoli ha dovuto comunicare un furto di dispositivi di protezione individuale. Sarebbero stati sottratti dagli armadietti degli infermieri. Intanto dalle strutture sanitarie di tutta Italia arriva il grido d’allarme: “Non abbiamo più strumenti per lavorare in sicurezza”. Sul web circolano foto di medici che utilizzano, in assenza di camici, i sacchi di plastica che normalmente servono per proteggere i capi in lavanderia. Ne scrive Stefania Piras sul quotidiano Il Mattino. E anche a Taranto, l’urgenza (tra le urgenze) è la stessa. Sono i sindacati dell’area medica a denunciare la carenza o la totale assenza dei più elementari strumenti di lavoro, nei presidi ospedalieri della provincia. Non solo: anche le RSA, gli hospice e tutte le strutture analoghe sono a rischio. Lo sono ospiti e operatori.

Il Governo intanto sta incentivando la produzione locale delle mascherine e delle visiere, così come dei camici. Perché il problema è proprio a monte. Quello che si documenta in queste ore non è soltanto un problema italiano; riguarda piuttosto tutta l’Europa. Dipende da sistemi economici consolidati nel tempo. L’aver demandato la produzione di questi dispositivi ai paesi esteri, alla Cina in particolare, è un fatto che spiega le attuali difficoltà. Non avere una produzione propria significa trovarsi scoperti, nel momento del bisogno. Come sta avvenendo anche in Spagna, in Francia. L’emergenza esplosa in Cina ha fatto sì che il materiale sanitario restasse in area asiatica; la successiva diffusione della malattia in ogni continente ha reso poi tutto più complicato. I Paesi europei e anche gli altri Stati hanno cominciato a bloccare l’esportazione o il transito delle mascherine, in vista dell’approssimarsi dell’emergenza, con i risultati che abbiamo descritto. 

Riconversione diventa la parola chiave, in questa circostanza, e molte aziende la stanno già praticando. Piccole, medie aziende, ma anche colossi della moda. Il gruppo Armani, per citare l’esempio che ha un’eco maggiore, ha comunicato la conversione di tutti i suoi stabilimenti produttivi italiani. Non più abiti di lusso ma camici monouso destinati alla protezione individuale degli operatori sanitari in trincea. E ci sono tanti piccoli grandi imprenditori, centinaia, probabilmente migliaia di coraggiosi operai che stanno lavorando senza sosta per adattare i loro macchinari, allo scopo di renderli utili alla fabbricazione di mascherine. 

Quanto alle tipologie degli oggetti che abbiamo tristemente imparato a conoscere, ne esistono diverse. Semplificando al massimo, ci sono dispositivi che proteggono noi e gli altri e dispositivi che si indossano (quelli chirurgici) per proteggere gli altri. Non c’è, al momento, un obbligo ad indossare la mascherina esteso a tutti (sarebbe un controsenso, visto che non se ne trovano). Se tutti ne disponessimo (basterebbe avere quella chirurgica), sempre rispettando la distanza sociale e uscendo solo per ragioni di necessità, sarebbe meglio. 

In assenza di mascherine, ricordiamoci che l’importante è restare a casa e, quando si esce per la spesa o per altre necessità, stare ad un metro, anche due, dalle altre persone. Nel caso in cui riusciste ad entrare in possesso di un dispositivo di protezione, ecco un video del Cnr (http://www.cnrweb.tv/wp-content/themes/web-tv/embedcnr.php/?vi=http%3A%2F%2Fcnrwebtv.services.iit.cnr.it%2Fvideo%2F20200327guidotti_mascherine.mp4&th=undefined) che illustra gli errori da non commettere, quando li si indossa.